Il mare, che papà così tanto amava, stava per tradirlo: nell'agosto del '99; mentre si trovava al largo, nuotando, ebbe un'improvvisa perdita di coscienza e di forze, al punto da correre il rischio di annegare. Tornati a casa, come logico, iniziammo, sotto il consiglio del nipote medico, la trafila delle analisi, alla ricerca di possibili motivazioni di quanto successo. Ma le analisi non diedero alcun segno di negatività e papà sembrava completamente rimesso: una brutta avventura a lieto fine (ma, forse, si trattava di una prima avvisaglia troppo debole per poter essere recepita).
In gennaio, però, mentre camminava con mamma nei pressi di casa, si ritrovò faccia a terra senza nemmeno rendersene conto. Di nuovo preoccupati, riprendemmo la ricerca attraverso esami sempre più complessi ed approfonditi; vennero fuori problemi ad un rene, un adenoma benigno alla prostata, altre piccole difficoltà ma, a parere del medico, tutte controllabili con un po' d'attenzione ed una opportuna dieta alimentare ipoproteica. Una TAC cerebrale, nel mese di febbraio, non presentava alcun segno di tipo sospetto.
Il sabato successivo alla Pasqua, come colpito da una difficoltà cerebrale, papà manifestò una pronunziata forma di disorientamento spazio-temporale. Il nipote, che non era tranquillo, richiese di nuovo tutti gli esami: la TAC del 10 maggio diede risultati catastrofici.
Cosa fare? Cercammo, su indicazione medica, di far ricoverare papà presso il Gemelli a Roma; ci venne chiesta preventivamente una RNM che ci affrettammo a fargli fare il 22 maggio: l'esame, più approfondito, confermava la grave situazione ed anzi, se possibile, la mostrava ancor più in tutta la sua negatività. Ma al Gemelli ci portavano per le lunghe ed allora provammo al II Policlinico di Napoli dove, con l'aiuto del nipote infermiere Mimì, riuscimmo ad avere subito accesso al reparto di Neurochirurgia.
Qui, dopo le necessarie analisi, ci fu posta la seguente alternativa: "abbiate il coraggio di operarlo così, nella peggiore delle ipotesi, almeno saprete di che è morto vostro padre" (il neurochirurgo); "se fosse mio padre non lo opererei" (l'anestesista).
Decidemmo di portarlo a casa. Con l'aiuto continuo del nipote medico, del nipote infermiere e del suo medico di base portammo avanti le cure previste nella situazione di malattia terminale. Tutti e tre ci consigliarono di fargli vivere il più possibile ogni cosa in maniera normale; per questo, il 20 luglio, partimmo alla volta del mare. Il giorno 9 agosto, senza alcun preavviso, alle 7,40 del mattino, papà ebbe un violentissimo attacco cerebrale di tipo convulsivo.
Trasportato in ambulanza all'Ospedale di Praja, ebbe un secondo attacco, uguale al primo, mentre era ancora al pronto soccorso ed un terzo subito dopo il ricovero. Quest'ultimo sembrò essere definitivo: entrato in coma profondo e con un inizio di rantolo papà, nell'opinione di medici e parenti, era vicinissimo alla fine (poche ore). Invece, nei giorni successivi, un passo alla volta, risalì dal coma (apre gli occhi, li muove per comunicare; muove i piedi, poi le gambe, poi le braccia; inizia a muovere le labbra, poi una flebile voce, infine ritorna a parlare).
Il 19 agosto, vedendo che non erano possibili ulteriori miglioramenti, tornammo in ambulanza a casa; l'attacco gli aveva lasciato una emiparesi al lato sinistro, un'accentuata debolezza del cuore, piaghe da decubito all'osso sacro ed ai due piedi. Papà era cateterizzato, impossibilitato al movimento autonomo, martoriato dalle piaghe, necessariamente imbottito di medicinali.
La sera del 7 settembre parla per l'ultima volta; il giorno 8 lo trascorre in coma in seguito a nuovo attacco cerebrale in forma non violenta: al mattino del 9, intorno alle 12,23, muore, quasi certamente per edema polmonare conseguente a blocco renale.